Sabato 7 ottobre alle ore 18.00 la galleria Bonaire Contemporanea in via Principe Umberto, 39 ad Alghero inaugura Piovono Santi, personale di Mattia Enna, classe 1981, curata da Mariolina Cosseddu e Ivo Serafino Fenu, tra mostri, santi e dissacranti processi di scomuniche e beatificazioni. Santificare mostri è una pratica se non insolita perlomeno contradditoria. In genere, nell’iconografia religiosa – in quella cattolica soprattutto – mostri e santi sono antitetici, combattono tra loro senza esclusione di colpi. I mostrini dipinti da Mattia Enna – che pure a tale tradizione attingono, dai bestiari medioevali alla visionarietà nordica di Bosch, fino al nostro medioevo contemporaneo – hanno spesso forme ibridate vagamente antropomorfe, zoomorfe o fitomorfe. In realtà ogni singolo mostrino è frutto di un’ironica ostentazione del corpo e dell’anima dell’artista in un’autoanalisi profonda e viscerale dalla quale emergono fobie e idiosincrasie: un continuo autoritrarsi senza mai mostrarsi realmente. I SantiSubito – che alla famiglia dei mostrini appartengono – sono predestinati invece alla santificazione essendo dipinti su fondi corruschi che rimandano all’antica tradizione delle icone bizantine, ai retabli sardi di tradizione gotico-catalana e a quelli, ben più recenti, di Aldo Contini. L’artista, coi suoi Santi e Santissimi raggruppati in un irriverente calendario per il 2024 di prossima pubblicazione, in bilico tra ironia e blasfemia, è riuscito a trasformare i suoi segni iconici in potenti dispositivi relazionali, attrattori e catalizzatori di emozioni talvolta indicibili ma sempre fatali nel legare e far prigionieri gli incauti possessori delle irriverenti e poco “sacre” immagini. Al di là dell’apparenza ludica dell’azione performativa, si tratta, di fatto, di una cerimonia di condivisione che svela, nella distribuzione delle parti, il valore etico di un gioco serissimo ad alta funzionalità sociale. Mattia Enna è il prestigiatore in grado di trasformare mostri in santi con la complicità di un destinatario tanto accondiscendente quanto consapevole di un’azione vischiosa e vincolante. Se la casualità ha un ruolo dominante nella scelta dell’icona da adottare, è anche vero che spetta all’interlocutore volontario costruire la storia che assicura vita e funzioni dell’immagine inerme investita, improvvisamente, di una narrazione che le appartiene solo se si è disposti a fare della finzione un atto di fede di religioso tenore. Si compie così una reale drammaturgia nel cui scenario ciascuno si impegna a svolgere un ruolo in divenire, valido per ulteriori verifiche, comprese le capacità del beato, da comprovare nella prassi quotidiana e di cui si attendono, anche in futuro, possibili conferme. La dialettica tra le parti in atto diventa, allora, una pratica relazionale in grado di ricordarci che l’arte è strumento formidabile per creare incontri inaspettati e densi di misteriose conoscenze.